Tra le nostre recensioni non poteva mancare questo ristorante all’Alessandrino. Uno specie di fenomeno nella solitamente Roma-centrica gerarchia gastronomica della capitale; arrivato anche al primo posto tra i ristoranti della città nella classifica di Trip Advisor.
Mai come in questo caso il ristorante si identifica con il suo proprietario: Massimo, romano di Ostia, è intriso di quella conoscenza culinaria-popolare che sempre più difficilmente si trova negli imprenditori-ristoratori della capitale. A suo dire il processo che lo ha portato a cogliere i segreti della cucina romana non è stato complicato, è bastato prendere appunti guardando ciò che sua madre gli presentava tutti i giorni a tavola, replicandolo, con una spesa meticolosa che nasce perlopiù al mercato dell’Alessandrino, sui tavoli del Coccio. E ora che la madre di Massimo non cucina più, i suoi saggi insegnamenti sono comunque rimasti tra queste quattro mura.
Nasce così una cucina che propone alcuni piatti intramontabili della cucina romana, come ad esempio una Carbonara (come difficilmente se ne trovano in città), la Matriciana (8), la Cacio e Pepe (8), affiancati da pietanze di cui ormai si è quasi perso le tracce: l’arrosto alla Picchiapò, la Coda alla Vaccinara (ormai sempre più difficile da trovare), la trippa, il fricandò (ovvero un guazzetto fatto con gli avanzi del giorno dopo che, come tanti altri piatti della tradizione, sono i veri protagonisti della cucina povera romana).
A questo punto è d’obbligo aprire una parentesi sulla chiacchierata che ho avuto con Massimo, una conversazione che mi ha fatto capire come lavora Il Coccio e cosa vogliono i romani nel piatto. Alla mia annotazione sul successo del Coccio: “Ormai il romano cerca di ritrovare i sapori della cucina romana di un tempo, senza tanti fronzoli”, Massimo ha fatto un’eloquente smorfia. Poi ha scosso la testa dicendomi: “C’ho provato a proporre la vera cucina romana. Ma non siamo più abituati a quei sapori. Ti faccio un esempio: la Cacio e Pepe veniva fatta con il Cacio romano, senza Parmigiano. Quello si usava nel nord Italia, e qui non lo usava nessuno. Adesso quando ho servito una Cacio e Pepe con solo il Cacio Laziale ho visto la gente perplessa dirmi che era troppo salata. Lo stesso discordo vale con piatti come la Trippa e le Animelle… Allora faccio na bella cosa: quando viene un vecchietto che è abituato a quei sapori, gli faccio na Cacio e pepe de ‘na volta. Ai giovanotti come te invece propongo i sapori che vanno adesso”.
Un discorso chiaro che mi ha aperto un mondo!!
Ma torniamo al concreto. Massimo dirige il suo ristorante con attenzione, le prenotazioni passano esclusivamente dal suo telefonino, e lui sembra avere mille occhi: uno per i piatti che escono dalla cucina, uno per le esigenze dei clienti, uno per controllare come si muovono i camerieri. Recita il menu a voce raccontandoti i piatti: la gricia, le mezze maniche con pajata d’abbacchio, pappardelle porcini e salsicce di Norcia, ravioli radicchio e noci. Per i secondi il discorso diventa lungo, ve ne recitiamo qualcuno: tagliata fiorentina e filetto, pezza di manzo alla carrettiera, l’abbacchio in tutte le sue versioni (fritto, alla scottadito, al forno).
A cena si parte sempre con una carrellata di antipasti: fiori di zucca fritti, mozzarella di bufala, polpettine e tanto altro ancora.
Anche i dolci sono degni di nota: il mio semifreddo allo zabaione era veramente ottimo.
Una volta che il Coccio si è classificato al primo posto tra i ristoranti romani su Trip Advisor è cominciato un curioso viavai di turisti… Tanti venivano fino all’Alessandrino, non proprio il cuore di Roma, con l’autobus dal centro di Roma. Io sinceramente, nonostante abbia trovato il ristorante buonissimo e Massimo particolarmente gagliardo, non saprei dire se per un turista valga la pena fare tanta strada per mangiare qui al Coccio. Nonostante io sia amante della buona cucina, e quella del Coccio è molto buona, credo che forse per un turista sia meglio mangiare leggermente peggio in un ristorante medio-buono in un quartiere affascinante situato nel cuore di Roma (con passeggiata annessa), piuttosto che mangiare bene facendo un mucchio di strada in un quartiere semi-periferico. E credo che sia per questo motivo che qualcuno abbia poi mosso qualche critica al ristorante, come ad esempio il fatto che non siano accettate le carte di credito (nel locale non c’è linea telefoniaca).
Ma il tutto nasce da un equivoco: il Coccio è un superbo, speciale, piacevolissimo ristorante di quartiere. Una trattoria che ricorda, anche per arredamento, la vecchia trastevere de Roma.
E’ uno di quei posti che ti fa pensare che la cucina romana la trovi ormai solo fuori da certe rotte turistiche che avvelenano il centro città.
E noi il Coccio non possiamo che consigliarvelo. Sperando che locali del genere ricomincino a popolare le zone più turistiche di Roma. A tutto vantaggio nostro, e dei turisti stranieri.
Ristorante Il Coccio
SERVIZIO: Massimo è veramente gagliardo, così come lo staff da lui creato
PARCHEGGIO: non facilissimo
PREZZO: 30-35 euro
GIORNO DI CHIUSURA: Lunedì
INDIRIZZO: Via dei meli, 34 Roma (Traversa Via Palmiro Togliatti)
TELEFONO: 338.3896037 (il telefonino di Massimo)
POSITIVO: ottima cucina romana con piatti ormai difficili da trovare, prezzo onesto, Massimo che è sempre gentile e autentico
NEGATIVO: la posizione non centrale, non si accettano carte di credito
PIATTO DA NON PERDERE: Carbonara
{google_map}41.881065,12.577243{/google_map}